La Scuola dell’Infanzia è a tutti gli effetti il primo grado del sistema scolastico di base sin dall’entrata in vigore dei Nuovi orientamenti del 1991, documento programmatico spartiacque tra la vecchia concezione assistenzialistica della scuola materna e la prospettiva innovativa del bambino e della sua scuola in un’ottica interazionista ed ecologica. Essa pone al centro della sua attenzione, i diritti del bambino e la promozione della sua personalità, diventando, così, il luogo di apprendimento, socializzazione e formazione.
Il bambino è attivo e curioso, interessato a conoscere e ad interagire con i pari e con gli adulti e, dunque, a comprendere la realtà. La scuola dell’infanzia con il suo agire intenzionale e sistematico assolve ad un compito di grande responsabilità nei confronti dei bambini e delle bambine tra i tre e i sei anni. Questa visione dell’infanzia viene accolta e recepita nei documenti programmatici ministeriali successivi (Indicazioni per il curricolo delle riforme di Moratti del 2003 e quella di Fioroni del 2007) ed è presente nelle recenti Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado licenziate con il D.M. 254 del 16 novembre 2012, alle quali attualmente si fa riferimento.
La differenziazione didattica nella scuola dell’infanzia è la risposta alle esigenze di una scuola sempre più in grado di includere tutti gli allievi, nessuno escluso. Nel particolare contesto della scuola dell’infanzia, è importante ripensare al modello e identificare le strategie più idonee per gli allievi che questo ordine di scuola ospita.
LE STRATEGIE DELLA DIFFERENZIAZIONE
- Giocarsi diverse carte, variando attività
La strategia del variare tipo di attività (ma anche tipo di raggruppamento – alternando lavori con tutta la classe a lavori individuali, a coppie, a piccoli gruppi – e di setting, alternando momenti di attività in aula a momenti di attività da svolgere in laboratorio o addirittura fuori del Cfp, in quell’aula decentrata che è il territorio), ricorrendo ad una molteplicità di metodologie, anche nel corso di un’unica ora di lezione, risulta essenziale per i formatori intervistati. Da una parte tutto questo serve a mantenere viva l’attenzione, dall’altra consente di adeguarsi all’eterogeneità del gruppo dei soggetti in apprendimento e alle loro differenti caratteristiche cognitive (Gardner, 1983).
– Far fare, organizzando bene i tempi
La centratura sul fare richiede un’accorta organizzazione dei tempi, per un effettivo utilizzo del tempo per l’apprendimento, analogo a quello che gli allievi sperimentano nelle ore di laboratorio. Utilizzare bene i tempi non vuol dire programmare tutto prima, con rigidità, ma predisporre diversi scenari di azione, che consentano di variare modalità di lavoro anche in corso d’opera, a seconda di ciò che succede in aula. Se, nella mente del docente, non è chiara la possibile articolazione della lezione in differenti fasi, con una centratura sulle fasi in cui gli allievi sono attivi, il rischio di non utilizzare al meglio il tempo a disposizione è davvero elevato
– Variare gli approcci e le attività, lasciandosi guidare anche dagli “Uffa, prof…”
L’esigenza di diversificare le attività è certamente dettata dalla varietà degli obiettivi da raggiungere, ma anche dalla diversità degli allievi (delle loro intelligenze, dei loro stili cognitivi), dei gruppi classe e dei momenti del giorno o della settimana in cui si svolge la lezione: devo diversificare la metodologia a seconda delle classi, perché i ragazzi sono diversi. I docenti trovano utile variare le attività, per dare maggiore vivacità alle loro proposte. Un docente che opera in diversi ambiti disciplinari può utilizzare la leva del “cambio di materia”. Talvolta, il passaggio ad altro è sufficiente per riattivare le energie. In ogni caso, si tratta di variare gli approcci e le modalità di lavoro, curando un mix adeguato di modalità “frontali” (la classica spiegazione) e modalità più attive (l’esercitazione, la visione e l’analisi di uno spezzone di film ecc.). Spesso sono proprio gli “Uffa, prof…” o i segnali di stanchezza e di vera e propria insofferenza che gli allievi lanciano a suggerire l’opportunità di un cambio di attività. Diventa allora cruciale la capacità che il docente sviluppa di ascoltare e di decifrare tali messaggi: mi lascio guidare da loro; questo non significa accondiscendere a tutte le loro “voglie” (IntPd2/254). Lo sforzo dei nostri docenti è di guidare lasciandosi anche guidare, come farebbe un’esperta guida alpina accompagnando un gruppo di scalatori su un sentiero di montagna. Si tratta di non andare di corsa, per conto proprio, ma di prestare attenzione a ciò che succede, alle asperità del terreno come alla tenuta dei singoli e del gruppo, di assecondare il loro passo, perché nessuno si perda nel bosco, di scegliere percorsi magari più lunghi ma anche più agevoli e, nello stesso tempo, di far intuire il fascino della meta e dei panorami che via via si aprono alla vista.
– Inserire degli intermezzi per far “ricaricare le batterie”
Talvolta, in una lezione di italiano, di storia, di matematica o di scienze, la difficoltà è costituita dalla gestione dei momenti fisiologici di stanchezza. I docenti intervistati sono consapevoli che il mantenimento dell’attenzione da parte degli allievi richiede qualche cambio di passo nella conduzione della lezione. Talvolta, come abbiamo visto, basta variare l’attività, altre volte, può essere utile pensare a specifiche strategie (anche solo una battuta umoristica o una breve pausa) orientate a far “riprendere fiato” o a far “ricaricare le batterie esaurite”.
– Utilizzare la leva del gioco
Diversi formatori sottolineano l’importanza che lo stare a scuola si trasformi in un’esperienza piacevole per gli alunni; non perché ritengano che si debbano fare solo le cose che procurano piacere, ma perché pensano che il fatto di divertirsi non debba necessariamente essere messo in contrapposizione con la serietà e la qualità del lavoro. Una lezione può essere insomma al tempo stesso divertente ed impegnativa. Non si tratta di fare i “piacioni”, piegando tutto il percorso a ciò che piace loro e limitandosi a questo, ma di far partecipare gli alunni al proprio piacere, di condividere i propri entusiasmi, assumendo un atteggiamento flessibile nei confronti del programma da svolgere. Alcuni docenti, sia di italiano che di matematica, ci raccontano di fare spesso ricorso, per lo stesso motivo, a vere e proprie tecniche ludiche, magari inventate a partire da giochi tradizionali o prendendo spunto dai giochi televisivi. Qualche volta il gioco assume valore di 5 intermezzo e diventa una delle attività per riprendere fiato di cui abbiamo parlato sopra. Ma i giochi, in tutti gli ambiti disciplinari, vanno al di là della funzione di intermezzo; suscitando coinvolgimento, sfida, interesse e curiosità, propongono spesso situazioni in cui è necessario un ragionamento e possono servire a condire
- Differenziare il lavoro all’interno del gruppo classe
La differenza è “normale”, i gruppi di apprendimento non sono mai omogenei. Di questo sono convinti i formatori intervistati che, come in parte abbiamo già visto sopra, in relazione all’esigenza di variare le attività, cercano di differenziare il lavoro all’interno della classe (cfr. Tomlinson, 2003) per rispettare i ritmi di ciascun allievo. Vari sono i volti della differenziazione: l’analisi della situazione e la curvatura delle proposte sulle esigenze di singoli e di gruppi; la differenziazione delle consegne di lavoro all’interno di uno stesso gruppo di apprendimento; l’accompagnamento individuale e l’azione di supporto al singolo allievo, in una prospettiva di recupero dell’autostima e delle competenze di base, oppure in una prospettiva di sviluppo e approfondimento di interessi personali; l’organizzazione di momenti di apprendimento autonomo.
– L’idea che si possa standardizzare l’insegnamento è quanto di più distante dalle convinzioni e dalle pratiche dei nostri formatori. Insegnare richiede una costante, acuta attenzione al contesto e ai singoli soggetti in apprendimento: non ho mai visto una classe uguale all’altra, mai! Si tratta di cogliere le specificità dei gruppi e dei singoli con cui si lavora, di adattare le proposte a tale specificità (anche potendo attingere ad un ampio repertorio di possibilità) e di mettere in moto il protagonismo dei soggetti in apprendimento, procedendo in modo esplorativo, per tentativi ed errori. L’esigenza di fondo è quella di comprendere le caratteristiche del gruppo con cui si sta lavorando, di considerare “le storie che i ragazzi portano con sé”, i loro interessi, le loro domande, ma anche come un gruppo evolve e, cambiando, richiede che si faccia ricorso a modalità di lavoro diverse. Questo rappresenta anche una risorsa per il docente che, provando ed interrogandosi su cosa funziona e cosa no, ha la possibilità di inventare e di arricchire il suo repertorio di tecniche e strategie.
– Differenziare le consegne di lavoro
Alcuni insegnanti sono soliti differenziare le consegne di lavoro, a seconda del gruppo classe, ma anche all’interno dello stesso gruppo, diversificando i compiti e le richieste nei confronti anche di singoli allievi.
– Potenziare l’autostima curando la relazione e fornendo un supporto individuale
Come abbiamo avuto già modo di osservare, molti ragazzi della formazione professionale portano con sé un vissuto scolastico negativo, che spesso ha completamente demolito la loro autostima. In queste situazioni, la costruzione di una relazione significativa, l’accompagnamento individuale, il “Tu provaci!”, che è possibile pronunciare sedendosi accanto ad un ragazzo e guardando con interesse ciò che sta facendo, fanno recuperare un po’ di energia e liberano potenziali che altrimenti rimarrebbero soffocati ed inespressi.
– Adattare gli stimoli agli allievi con bisogni educativi speciali
La strategia della differenziazione alla quale, come abbiamo visto sopra, i nostri docenti ricorrono diffusamente, diventa quasi obbligata in presenza di soggetti con bisogni educativi speciali o con specifiche difficoltà di apprendimento.
– Organizzare momenti di apprendimento libero ed autonomo
Fa parte del lavoro di differenziazione, in questo caso nel senso della personalizzazione dei percorsi.
– Differenziare, almeno in parte, anche il curricolo
Il primo step nella metodologia della differenziazione didattica consiste nello stabilire dei presupposti scientificamente solidi per poter avviare un processo di conoscenza degli alunni. Infatti, la differenziazione didattica non può ridursi a una mera scelta di varie strategie, alla stessa stregua di una cornucopia ricca di elementi di vario tipo, ma deve piuttosto definirsi in termini di una selezione accurata e oculata che faccia leva sulle personali e diverse caratteristiche degli alunni ai quali le proposte didattiche devono essere indirizzate. Per poter procedere in questo modo, occorre elaborare un Profilo di Funzionamento degli alunni, vale a dire uno strumento conoscitivo che consente all’insegnante di ottenere e sintetizzare informazioni relative alle competenze, ai punti di forza e di debolezza degli alunni, al loro potenziale di apprendimento e alle barriere che lo ostacolano, ai loro modi di apprendere e alle condizioni psicologiche e ambientali che risultano per loro più agevolanti, alle loro attitudini e ai loro interessi. A partire da questa riflessione l’obiettivo del corso è quello di fornire gli strumenti giusti agli insegnanti della scuola dell’infanzia per conoscere punti di forza e le fragilità dell’alunno e dell’intera sezione per intervenire efficacemente con metodi e strumenti adatti.
Argomenti del corso:
La sfida della differenziazione didattica
Innovazione didattica e nuove prospettive
Il digitale è innovazione?
Una nuova didattica per l’inclusione
La differenziazione didattica
Il modello di Tomlinson
La didattica per competenze
Conoscere i propri studenti
Le radici scientifiche: modelli e quadri di riferimento teorici
Vygotskij e la teoria della Zona di Sviluppo Prossimale
Gardner e la teoria delle intelligenze multiple
Sternberg e la teoria della prospettiva triarchica dell’intelligenza
Silver, Strong e Perini e la teoria dei quattro stili di apprendimento
Gli stili di apprendimento di Dunn e Dunn
Progettare la differenziazione a scuola: istruzioni per l’uso
L’ambiente di apprendimento
Quali strategie didattiche per la differenziazione?
Le stazioni di lavoro
I centri di interesse
I centri di apprendimento
Le tabelle di scelta
Gli organizzatori grafici
I gruppi flessibili
La stratificazione dell’apprendimento
La differenziazione didattica: metodi e strumenti
Dalla differenziazione implicita alla differenziazione esplicita
La metafora della caffettiera
Conoscere per differenziare: il Profilo di Funzionamento Individuale
I punti di forza e le fragilità dell’alunno
Gli interessi elettivi manifestati
I modi di apprendere
Le variabili emotive e motivazionali
Le competenze sociali e le modalità relazionali
Dal Profilo di Apprendimento Individuale al Profilo di Classe: la scheda di osservazione
La carta di identità dello studente
Il Profilo di Classe
La fase di pre-assessment
Le strategie da mettere in campo
Differenziare per contenuto
I centri di interesse
Differenziare per processo
La strategia del Think-Pair-Share
La strategia del Jigsaw
La strategia RAFT
Le stazioni di apprendimento
La differenziazione per prodotto
Altri tipi di differenziazione 1
La valutazione del progetto
La valutazione
Come fare lezione in modo differenziato?
La creatività in classe migliora l’apprendimento dei ragazzi. La creatività, il prodotto creativo, facilita l’associazione delle immagini ai contenuti e la loro archiviazione nella memoria implicita.
L’obiettivo, soprattutto, in età prescolare, è quello di favorire uno sviluppo armonioso del loro talento, inteso come potenzialità fantastica da nutrire.
“Adeguando il “gioco” alle esigenze di queste persone in divenire, abbiamo creato un ‘esperienza organizzata che permette ai bimbi che vivono quest’età così preziosa di sentirsi parte di un percorso pedagogico definito, e al contempo liberi di essere se stessi.
Il Gioco è una cosa importantissima sia per il bambino che, come vedremo, per l’adulto. Giocando ci si addestra alla complessità della vita e dei rapporti con gli altri
Giocando in uno spazio adeguatamente protetto il bambino non svolge quindi un’attività afinalistica, bensì impara a modulare il suo complesso mondo emozionale, si addestra a costruire e modificare il mondo esterno e quindi ad impostare la sua maniera di percepire gli eventi e le relazioni interpersonali che caratterizzeranno la sua vita.
Obiettivi:
Il corso, rivolto agli insegnanti della scuola dell’inanzia, si propone i seguenti obiettivi:
– Accrescere le proprie competenze espressive attraverso l’acquisizione di nuove tecniche artistiche;
– Potenziare il ruolo delle emozioni nell’apprendimento, per migliorare la dimensione emotiva nel processo di apprendimento-insegnamento;
– Migliorare le dinamiche relazionali tra pari e all’interno del contesto classe, attraverso un approccio empatico che tenga conto delle diversità;
MAPPATURA DELLE COMPETENZE
• Comunicativo (rinnovate capacità espressive, sul piano verbale, non verbale, iconico e multimediale con spunti per attività laboratoriali da proporre in classe per il ben-essere globale);
Organizzativo (per proporre e gestire attività creative, espressive e aggreganti in classe).
Prima fase teorica. Seconda fase esperenziale laboratoriale. Consegna